Intervista a Lucia Mazzaria a cura di Filippo di Nardo

 

LUCIA MAZZARIA: IL SOPRANO NON TACE… MA ANCORA SI DIVERTE!


Inviato da FilippoDiNardo il 30/12/2014 13:40:00 (202 letture) Notizie dello stesso autore






Ritengo FacciaLibro una genialata inutilmente utile: tutti scrivono, pochi leggono, altri condividono. La lingua italiana, a volte, è un optional; la grammatica, la sintassi e l’ortografia spesso lasciano il tempo che trovano. Ma grazie a EffeBì si può spielbergare che è una meraviglia.

Ed è proprio in virtù di un incontro allontanato del primo tipo che entro in contatto con Lucia Mazzaria. Una carriera artistica da far tremare le ugole, ed una biografia che a leggerla è un romanzo. In ogni passaggio un incontro con la Storia della Lirica; qualsiasi città conserva il suo ricordo e con tutti i personaggi ha creato una Poesia.

Riportare quanto ha fatto Lucia Mazzaria in tanti anni di successi è un’impresa immane ma sintetizzare sarebbe una profanazione. Pertanto: chi vuole approfondire per strabiliarsi, può, anzi deve, utilizzare questo mezzo meccanico.



In ogni modo un accenno del suo spessore artistico ho il dovere di riportarlo.

Debutta a Trieste con il Requiem di Faurè, poi incide il suo primo disco: Adriano In Siria, di Giovanni Battista Draghi, alias Pergolesi. Un anno dopo, nel 1987, la troviamo a La Fenice nel ruolo di Mimì; passano pochi mesi ed è a Rio De Janeiro, prima, e ad Amburgo poi; ed è Micaela nella Carmen di Georges Bizet, con la quale incanta Chicago e Bilbao. Di nuovo a Venezia per Liù, da Turandot, con la regia di Jean Pierre Ponnelle; subito dopo è Alla Scala, con Lauretta dal Gianni Schicchi, diretta dal M° Patanè.

Lo Stivale viene percorso in lungo e in largo con Boheme, Turandot e lo Stabat Mater.

In Orfeo Ed Euridice, di Christoph Gluck, tenutosi a Milano, incontra Riccardo Muti.

Poi gli Stati Uniti e la Russia la vedono furoreggiare.

Con la regia di Hugo De Ana, e sempre con Mimì, si consacra in ogni angolo del Globo.

E per darvi un’indicazione geografica della sua presenza vi cito: Bonn, Dusseldorf, Zurigo, Vienna, Montecarlo; facciamo qualche kilometro e rientriamo in Italia: Bologna, Genova, Roma, Macerata e poi ancora Verona, per rientrare Alla Scala. Ricordiamo Firenze, in occasione del 60° Maggio Musicale, con la regia di Zhang Yimou (quello di Lanterne Rosse, per intenderci) e con la Bacchetta di Zubin Mehta, con il quale canta la sua ultima produzione in questo ruolo con l’Israel Philarmonic Orchestra di Tel Aviv.

A Colonia debutta con Amelia nel Simon Boccanegra (del sempre sommo Peppino) che poi porterà in giro per ogni dove. Napoli l’accoglie in Margherita –Faust- e alla Fenice si veste da Antonia in Les Contes D’Offmann, di Jacques Offenbach, dirige: Riccardo Chailly .

Nel 1994 a Zurigo, pour la première fois, è Desdemona; nello stesso anno bissa a Bratislava con Carlo Cossutta. Successivamente è a Coblenza con al fianco René Kollo, ma le esibizioni si susseguono in tutta Europa. Nel frattempo visita il Sol Levante con la Messa Da Requiem all’NHK Hall; e non mancano le incisioni discografiche. La produzione col M° Gianluigi Gelmetti prosegue con lo Stabat Mater, che la vede impegnata a Valencia, in Norvegia, e nel 2007 a Roma con l’Arts Academy.

E di nuovo in Patria per Carmen.

Sempre per sintesi ricordiamo solo Aida, al Cairo; poi la propone a Reykjavik. Poi un salto a San Paolo, in occasione del 500° anniversario della scoperta del Brasile.

Poco dopo la sua più grande opera: la maternità; giusto il tempo di un cambio di pannolini ed un biberon ed affronta il repertorio di Soprano drammatico, con Nabucco. Nel 2004 la troviamo a Lisbona con la guida di Zoltan Pesko.

Non si fa mancare il repertorio contemporaneo ed interpreta il ruolo di Maria, da Salvo D’Acquisto di Antonio Fortunato, in quel di Treviso, con al fianco Ugo Pagliai.

Ancora in Giappone, su espressa richiesta del M° Hubert Soudant, per Santuzza.

Mi devo fermare.

Elencare l’infinità delle esibizioni che vedono protagonista Lucia Mazzaria richiede una lettura a parte, e pertanto invito tutti i cultori, gli estimatori ed appassionati a visitare questo palcoscenico: www.luciamazzaria.it.

Dialoghiamo via E-Mail.

Lucia, tu sei figlia d’arte: giusto?
Loro... bella domanda: che dire di due persone che hai appena fatto in tempo a conoscere perché ti hanno lasciato quando avevi diciassette anni, morendo a distanza di sei mesi l’uno dall’altro? Ma hanno in ogni caso fatto in tempo a trasmettermi questo grande dono che è la voce e la passione per la musica per poterlo coltivare. Cantavano nel coro del Teatro Verdi di Trieste: mamma soprano e papà tenore, erano affiatati e si aiutavano. Lui stravedeva per lei, ma mamma lo considerava sicuramente più amico che marito. Infatti, lui è il mio patrigno (che brutta parola, però) e lo sposò per darmi un padre. Fu un bravissimo padre e lei una madre distante anche se sono certa che mi volesse bene; ma, purtroppo, gli anni spazzano via i ricordi e rimane di più ciò che non è stato. Sono cresciuta in teatro fin dalla pancia di mia madre e la cosa divertente, quando la racconto nessuno ci crede, è che io da bambina ero totalmente stonata. Poi la folgorazione con un’Otello a Trieste cantato dal mio mito Carlo Cossutta. Se devo dire tutta la verità sono stati la sua potenza e il suo carisma ad avvicinarmi al teatro, anche se per anni ero andata a vedere le prove generali... ma fino a quel giorno mi addormentavo... sempre!

A vent’anni debutti con il Requiem di Gabriel Faurè; poi subito dopo un disco. Saranno indubbiamente ricordi indelebili. Hai ancora nel cuore quelle emozioni?
Del Requiem di Faurè sì, ho dei bellissimi ricordi, anche perché lo cantai a Trieste con il Teatro Verdi dove c’erano ancora tutti i colleghi dei miei genitori che abitualmente frequentavano casa nostra. Da una parte fu bellissimo vedere chi era veramente contento di sapermi sul palco e dall’altra parte si vedeva quella certa invidia di chi non si è mai rassegnato a stare nel coro... e questi ultimi, che vedevano una bambinetta con l’abito da sera, hanno avuto occhi e parole false. In questo caso però le cose belle superano quelle brutte e il profumo dei fiori che avevano invaso il mio camerino lo ricordo ancora. Del disco non ho ricordi particolari se non quello di aver sostenuto l’audizione con una pessima persona che però poi mi ha fatto lavorare. In teatro il bello lo vede solo lo spettatore, che non sa cosa c’è dietro le quinte. Infatti, io credo fermamente che l’unico vero momento di verità dell’Artista sia quello sul palco, perché dietro è costretto a recitare per non essere divorato dal meccanismo perverso ed inclemente che regola questo fatuo mondo.

Un anno dopo, nel ruolo di Mimì alla Fenice di Venezia, sostituisci Renata Scotto: un avvicendamento oneroso, direi, considerando la tua giovane età.
Molto oneroso e rischiosissimo! Ero in ogni caso molto preparata perché il tutto faceva parte di un progetto giovani che la Fenice mise in scena e provammo moltissimo. La signora Scotto si ammalò a ridosso della prima ed io fui presa e catapultata in scena al posto suo. C’erano tutti i fans della “Grande” in loggione e non mancò il solito losco individuo che me lo fece notare dicendomi che erano pronti al mio linciaggio... ma non fu! Dopo l’aria del primo atto però ci furono quei 5 fatidici secondi di silenzio tombale che mi stavano spezzando le gambe e poi arrivò l’applauso sincero... e il mio conseguente sollievo.

Come ci si sente ad essere definita l’erede di Mirella Freni?
Mi hanno sempre definita tale pur essendo la cosa più lontana dai miei pensieri. Non sapevo neppure chi fosse la Freni quando cominciai a cantare; io ascoltavo sempre Tebaldi, Stella, Cerquetti ecc... non avevo neppure un disco di questa cantante, ma un giornalista mi paragonò a lei e questo bollino blu mi rimase appiccicato in modo indelebile. Se posso essere totalmente sincera credo che i paragoni siano qualcosa di così fastidioso ed inutile da appioppare a qualsiasi artista perché: primo, nessuno è uguale a nessuno; secondo, perché quando si è tanto giovani non si può avere né l’esperienza tantomeno la maturità per competere con chi è più avanti. Ma alcuni giornalisti cercano sempre di fare paragoni perché, forse, non riescono a trovare nel giovane che comincia una vera identità che con il tempo crescerà e diventerà un unicum... E la stessa cosa fanno alcuni spettatori, specialmente i vedovi di quello o di quell’altro cantante. Quante volte abbiamo sentito dire: “Ehhhh, ma la Callas…”. Queste frasi non sono mai servite a nulla se non a togliere il godimento della voce e dell’artista presente in memoria di uno che non c’è più. Tutti, così, rimangono soddisfatti a metà.

Passano pochi mesi e sei a Rio De Janeiro, dove indossi i panni di Micaela, dalla Carmen. Ma andavi in giro per il mondo da sola?
Sì, da sola, e spesso con grande fatica, ma era ciò che avevo sognato fin da piccola. I viaggi in effetti sono l’unica cosa che mi manca sul serio di questa mia parentesi di vita vissuta in teatro.

Dopodiché Amburgo, Chicago, Bilbao… il sogno stava concretizzandosi…
Si; ormai ero entrata in quel vortice dove quando sei giovane tutti gridano al miracolo, ma non tengono mai presente il fatto che ogni grande inizio ha bisogno di sedimentare e di diventare esperienza... continuano a spronarti a fare sempre di più senza mai darti il tempo di capire come... più che un sogno stava, col tempo, diventando un vero incubo.

Tournee preolimpica in Corea e Giappone con Turandot. Cosa si prova ad essere dirette da un mostro sacro qual è Lorin Maazel?
Posso solo dire che Lorin Maazel rimarrà sempre il mio Grande Maestro! Fu splendido in tutte le occasioni in cui ebbi l’immenso onore di essere diretta e guidata da Lui: mi aiutò, mi consigliò e non mi trattò mai da ragazzina inesperta. Vide le mie potenzialità e cercò di farmi capire la strada giusta da seguire. Ho ricordi limpidi di quest’uomo, scolpiti nella mia mente e anche nel mio cuore.

Lucia, poi, si approccia al repertorio russo ed è la Zarina Militrissa, ne la Fiaba Dello Zar Saltan, di Rimskij Korsakov, con le scenografie di Gae Aulenti e la regia di Luca Ronconi al Teatro Municipale di Reggio Emilia, oggi: Teatro Romolo Valli.

Nel ruolo di Lauretta, dal Gianni Schicchi di Giacomo Puccini e con la Bacchetta del M° Giuseppe Patanè sei al Teatro Alla Scala. Entrando nel tempio della Musica si avverte, da spettatore, un palpabile timore reverenziale che incute rispetto. Figurarsi da interprete?
Innanzitutto sottolineo la fortuna che ha avuto una ragazza giovanissima di trovarsi davanti al Maestro Patanè: era una persona schietta e arguta, un grandissimo musicista e conoscitore del repertorio, non avrei potuto chiedere di meglio per debuttare alla Scala. Entrando in quel tempio si avverte il fiato sul collo di tutti i grandi che ci sono passati prima e in me è scattato un grande senso di responsabilità. Ma poi si affronta e si fa del proprio meglio perché in fin dei conti anche se l’impegno è duro è quello che ti sei scelto, e sappiamo bene che sono pochi i miracolati a poter fare proprio quello che desideravano da sempre.

Ritorni alla Scala ed incontri Riccardo Muti…
Hahahahha... Scusa, incomincio così perché il vero incontro fu proprio un disastro. Feci l’audizione con il Maestro per la parte di Euridice nell’Orfeo di Gluck, e proprio in quell’audizione centrai in pieno con il tacco di una scarpa l’unico avvallamento del palcoscenico e finii dritta per terra, con il Maestro in fondo che mi guardava desolato... ma alla fine di questa prova, dove credo di essere stata paonazza per tutta l’esecuzione, fui presa.

Poi si vola a Minneapolis, per la Boheme; dopodiché facciamo due passi e siamo in Unione Sovietica con Turandot. Un trionfo via l’altro: come si fa a restare con i piedi saldi in terra? Te lo chiedo affinché anche i giovani che raccolgono un momentaneo successo sappiano come agire in questi frangenti.
Di fatto rimanere con i piedi per terra è molto difficile poiché le adulazioni che vengono dagli applausi e dai successivi contratti sono una panacea per l’ego spropositato di ogni cantante, ed io non ne ero immune da giovanissima pur essendo sempre stata contraria ai divismi che nel ruolo di nuova mini star mi venivano addirittura imposti dalle agenzie e dai colleghi, che con la loro solita non richiesta amicizia consigliavano caldamente. Le scritture a raffica sono come una droga, ti danno un senso insano di potere e di rivalsa, ma sono cose che poi o impari a gestire crescendo o che rischi di pagare a caro prezzo. A me sono successe le due cose, ho imparato a gestire il tutto ed ho pagato in ogni caso, ma per fortuna non ne ho subite le conseguenze perché mi sono ritirata in tempo per non incorrere in nuove battaglie che sarebbero state tutte perse, in quanto il mondo del teatro si era modificato e non lo riconoscevo più come un posto per me vivibile.

Segue la consacrazione internazionale, con Mimì, e ci spostiamo da San Paolo ad Houston, da Chicago ad Amburgo, e tante altre metropoli dotate di orecchio musicale sopraffino. Un altro gigante entra nella tua vita artistica: Franco Zeffirelli…
Sì, entrò nella mia vita Zeffirelli, ma non dalla porta principale perché di fatto le produzioni erano già rodate e riprese perlopiù da altri, ma lo conobbi e alcune prove le feci anche con lui... non farmi continuare per favore, adoro le sue produzioni e non voglio aggiungere altro.

Nella storica Traviata del 1990, quasi imposta da Riccardo Muti e con la regia di Liliana Cavani, sei Violetta Valery, quasi il mito per eccellenza di tutte le Opere. Critica ed appassionati intenditori non ti lesinano il loro consenso ed apprezzamento. I tuoi pensieri?
Durante le prove dell’Orfeo di cui sopra il Maestro Muti mi chiese a bruciapelo: “Signorina ha mai pensato a Verdi?”. Ed io risposi che sì, adoravo Verdi e che mi piacerebbe tanto cantare Ot... e lui m’interruppe bruscamente dicendo la parolina magica: “Traviata”! Mi misi a ridere, convinta che scherzasse, ma lui imperterrito continuò ad insistere. Ci misi cinque mesi a decidermi, ma alla fine accettai. Chiunque mi conosce sa benissimo che io con Traviata allora c’entravo come Mamy di “Via Col Vento” in una taglia 42, ma feci questa follia e ci provai. Se dovessi scrivere la critica di quella mia performance direi che la voce era sicuramente bella ma non matura interpretativamente per tale ruolo. Andò bene, sì, ma non la feci più per il resto della mia vita, nonostante me l’avessero più volte riproposta. Non ascoltai le sagge parole del mio agente di allora che, al contrario di quelli che vennero dopo, era un grande intenditore di voci nonché una degna persona, e mi diceva: No... non ancora, aspetta! Feci di testa mia e questo mi costò la mancanza di coraggio nel riaffrontare quel ruolo a distanza di anni e so per certo che avrei potuto dare molto interpretativamente... l’ego e il potere del contratto facile avevano colpito!

Abigaille, Nabucco. Una parte tecnicamente non proprio alla portata di tutte. Come ti sei accostata al personaggio che Verdi vuole drammatico ma agile al contempo?
Fu un regalo di mia figlia Tatiana unitamente alla maestria di mio marito nell’insegnarmelo. Con la maternità irrobustii la voce e le grandi capacità di maestro preparatore che ha Alessandro hanno fatto il resto. Ho studiato per un anno intero questo ruolo prima di decidermi a farmi sentire in audizione e poi seguitai fino a pochi giorni prima delle prove. Io ho sempre avuto una linea di canto sul legato invidiabile ma ero un tantino scarsetta sulle agilità, ma le studiai così tanto che alla fine il risultato fu ottimo e serbo di questo episodio un bellissimo ricordo.

C’è qualche personaggio, nella tua sterminata carriera, che avresti voluto interpretare ma che non sei riuscita a portare sulle scene?
Sì, ce ne sono tanti, ma quello che mi è rimasto sullo stomaco è la temibile Lady Macbeth. Cercai più volte di ottenere il ruolo ma alla fine il responso era sempre quello: voce troppo bella per questo ruolo ispido. So bene che è una scusa trovata ad hoc scimmiottando le travisate parole di Giuseppe Verdi sul fatto che la Lady dovesse avere una voce aspra... ma di fatto fu la risposta unanime. Mi sarebbe piaciuta quella sfida: il personaggio è intrigante ed impegnativo oltre ad essere uno dei sogni nel cassetto di quando ero bambina.

Quale, invece, ti è sempre piaciuto di più, come se fosse stato scritto per te? La critica internazionale l’ha individuato in Mimì: sei d’accordo? Anche perché, citando, sembra una predestinazione: Mi chiamano Mimì ma il nome è Lucia.
No… No… No!!! Detesto Mimì: me l’hanno sempre fatta cantare smiagolando come se fosse una gatta morta! Io ho sempre preferito personaggi con una forza interiore ben delineata anche se in apparenza sono donne angelicate. Parliamo di Desdemona che spesso propongono con una tale fiacchezza da far dormire anche quando non è presente: Desdemona è una donna fortissima con una tenacia e chiarezza inequivocabili... Liù? Stupenda: insegna a Turandot che cos’è l’amore vero... Amelia del Simon Boccanegra? Una donna, oserei dire, guerriera nel suo profondo con una forza interiore stimabile… non cede! Ma se devo dare la mia priorità su tutte tornerei proprio a Desdemona che tanto ho amato e poco ho cantato, anche se quel poco è bastato per trovarmi un giorno a fianco al mio mito Carlo Cossutta, e in quel giorno mi rividi bambina sulla sedia della platea con gli occhi spalancati ad ammirare questo titano che mi aveva stregata e che solo cantando mi aveva insegnato la via. Avrei potuto finire la mia carriera con quell’unica recita cantata assieme a Lui e sarei stata appagata di tutto! A fronte della mia spavalderia e della mia apparente irruenza nel mio profondo sono un’inguaribile romantico.

Com’è che sei “emigrata” nel Musical? Parlami di questo West Side Story in forma concertante.
Fu divertentissimo cimentarsi con un genere musicale insolito per la classica cantante lirica... ma per “Lucia” non era così tanto desueto perché da piccola ascoltavo tantissimo Glen Miller e tutti i gruppi orchestrali di quell’epoca e li adoravo. Quindi non fu un salto nel buio bensì un bellissimo nuovo giocattolo con il quale divertirmi, e come mi divertii!

Tra i grandi direttori d’orchestra sei stata diretta, al Covent Garden, da Sir Colin Rex Davis: Uno dei più carismatici?
Grande sì, come Maestro, ma per me non fu uno dei più carismatici. Ricordo tuttavia una classe ed eleganza sia sotto l’aspetto musicale che umano.

Sei Margherita, nel Faust di Charles Gounod. Debutti al San Carlo: un ricordo di questa esperienza napoletana e della città.
Ero alloggiata in via Caracciolo all’Hotel Santa Lucia... non so se esiste ancora: splendida vista e buonissima cucina. Napoli è indubbiamente conturbante, anche se io l’ho vissuta con parecchia paura: cercarono di scipparmi e da allora non fu facile per me muovermi dall’hotel senza guardarmi intorno più e più volte. Il teatro è un gioiello e allora funzionava pure bene; la produzione invece mi diede non pochi problemi in quanto tolsero la pausa fra la fine del secondo atto e l’inizio del terzo... Insomma ogni sera una grande faticata senza grandi possibilità di recupero. Inoltre Margherita non è sicuramente fra i personaggi a me più congeniali, quella di Gounod in particolare... mi trovai meglio con l’omonima di Boito.

A tuo avviso bisogna, ancora oggi, “temere” il loggionista?
A mio avviso oggi bisogna temere che non ci sia più il loggionista. I teatri sono sempre più vuoti, la crisi ha messo sul lastrico una cultura musicale che tutto il mondo ci ha sempre invidiato; le dirigenze scellerate hanno devastato con la loro incompetenza, e le scuole insegnano le biografie di Jovanotti e di Zucchero anziché quelle di Mozart o di Verdi. Di che si può avere paura? Dei fantasmi?

Hai qualche aneddoto, un episodio che ti piace riportare, che più di tanti è indelebile?
A parte quell’Otello con Carlo Cossutta che rimane il punto cardine della mia vita artistica ed emotiva, ci sono altre due esperienza che mi hanno lasciato ricordi vivi: la prima fu quando cantai la parte di Tatiana nell’Eugenio Onegin alla Fenice, cast stellare e produzione importantissima. I colleghi erano veramente il meglio di ciò che si potesse pretendere e non solo dal punto di vista artistico ma anche quello umano, fu un bel lavorare e non mancò ovviamente l’incidente di percorso. Ad una pomeridiana si scatenò un furibondo temporale e a poche battute dalla fine della mia aria si spensero tutte le luci del teatro... Ok, sipario! Ma poi lo spettacolo doveva continuare e come si continua se qualcosa è rimasto a tre quarti? Si ricomincia dall’aria! Aria che però, per chi non lo sapesse, dura 14 minuti, quindi pensa tu che ridere. Altro episodio decisamente indelebile fu la prima prova di Aida ai piedi delle piramidi di Giza; io debuttavo il ruolo ed avevo una considerevole fifa. Sulla parte finale della mia aria del primo atto “Ritorna vincitor”, dove alla fine la povera Aida canta “Numi pietà” su un pianissimo dell’orchestra, vedo il Direttore che mette giù la bacchetta e guarda in alto. La mia proverbiale “fifissima” mi disse: Lucia, hai fatto qualcosa che non va, sicuramente hai sbagliato qualcosa insomma… dai, concentrati!!! Ma poi vedevo che nessuno faceva nulla e tutti stavano con la testa all’insù guardando qualcosa estasiati, mi girai anch’io e vidi spuntare la luna sopra la piramide di Cheope. Fu così che la mia fifa diventò terrore, perché se anche il giorno della recita la natura avesse fatto capolino, non sarei stata assolutamente in grado di far uscire dalla mia gola nemmeno un filo di voce. Lo spettacolo era così potente da togliere il fiato!

Le domande da farti sarebbero un’infinità; ma vorrei chiudere con due punti fermi che ci portano al presente: l’Associazione Musicale “Musicaemozioni” che hai fondato nel 2008 con la quale ti dedichi alla formazione di giovani talenti. Ecco, chi può accedervi e come fare?
Quando decisi di ritirarmi dalla carriera ufficiale ero ad un punto di maturità vocale ed interpretativa che potevano dare ancora molto al mondo della musica; ma, come ho già spiegato, quel mondo, quello che io avevo tanto amato, era ormai sepolto sotto cumuli di macerie. Io però avevo tante cose da dire e da fare e l’unica via era quella di metterle a disposizione di chi cominciava, ed ecco il perché della nascita di un’Associazione. Molti dei miei allievi hanno sperimentato, negli anni di eventi musicali da noi creati, la famosa “gavetta” che il teatro di oggi non offre più e almeno la metà di loro ne ha fatto tesoro e adesso ne raccolgono i frutti. Per me la più grande soddisfazione è vederli andar via e volare verso il loro futuro giacché so che ho contribuito a dare degli strumenti a delle persone che poi useranno nella loro vita. Per entrare nell’Associazione, che è una No Profit, basta fare una richiesta scritta, il direttivo si riunisce e decide se avallarla o meno, il meno è capitato raramente e solo con persone che avevano scambiato l’Associazione per un’agenzia di collocamento. Possono entrarvi persone semplicemente appassionate di musica, studenti di canto anche di altri insegnanti perché non facciamo nessuna distinzione in questo senso ed artisti di altre forme espressive che amino l’idea di un connubio fra le arti. Ovviamente c’è una quota annua da pagare che è il normale tesseramento che ogni Associazione prevede, ma è irrisorio.

Ed infine ti chiedo di parlarmi del successo che il M° Alessandro Pierfederici, tuo marito, sta raccogliendo anche come scrittore, e dove i suoi romanzi sono presentati con i tuoi interventi musicali.
Quest’ultima domanda mi fa immenso piacere perché l’attività letteraria di Alessandro mi coinvolge tantissimo e mi appaga come se i suoi scritti fossero anche figli miei. Sono sempre al suo fianco in questo percorso sia che canti per lui o meno. Ogni nuovo libro o recensione è motivo di ulteriore crescita e voglia di continuare. Abbiamo sperimentato le presentazioni con l’intervento musicale e devo dire che sono un buon connubio; non sono sempre io a cantare in queste occasioni ma anche i nostri allievi che hanno così la possibilità di sperimentarsi di continuo. Per lui ho cantato a Trieste alla presentazione del secondo romanzo ed è stata una grandissima emozione cantare il brano così come lui lo aveva descritto sul libro. Certo la nostra vita è ogni giorno una nuova sfida, condividiamo sempre tutto e siamo uniti da un costante furor creativo, ognuno per ciò che gli compete. Siamo stati una persona sola da che ci siamo conosciuti e concludo che questa è la mia vera vittoria sulla vita, la mia famiglia!

Quanto emerso da quest’excursus professional/umano ci presenta un’Artista, di caratura internazionale, prodiga di elogi verso colleghi e personaggi che sono gravitati nella sua orbita musicale; ma che non tace quand’è il momento di bacchettare e criticare aspramente un mondo talvolta effimero e non privo di egoismi. Una professionista che vuol tramandare la sua esperienza ai giovani e che ancora si diverte del suo lavoro, ma che non può permettere che le illusioni ed i traguardi evanescenti siano il Leitmotiv per quanti hanno le qualità ma difettano in dimestichezza.

Una donna, scevra da protagonismi gratuiti, che non esita a raccontarsi, a svelare i sentimenti reconditi; una persona, oltremodo sensibile, che ha fatto della famiglia il suo canto più bello, e nella quale trova la sua completezza.

Cosa aggiungere oltre se non che ho avuto il (dis)piacere di ascoltare solo via web alcune delle sue performance. Una voce che emana diamanti liquidi che disegnano arcobaleni sonori di una suggestione celestiale. Ascoltare per credere!

Ringrazio Lucia Mazzaria per la sua gentilezza e disponibilità: una dote che si riscontra solo nei realmente grandi ed è difficilmente rintracciabile nelle… supponenze.

Colgo l’occasione per salutare il Maestro/Scrittore Alessandro Pierfederici e la giovane Tatiana.

Sipario.

filippodinardo@libero.it


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